Italiani in Italia: Kyakodesign e l’arte della grafica

Questo appuntamento di Italiani in Italia ci porta a parlare di  graphic design. Una forma d’arte relativamente moderna, apparentemente semplice, in verità una nicchia di difficile comprensione per chi non vi è addentro. Pane quotidiano dei nostri tempi, non esiste più logo, insegna, biglietto da visita, pagina web o merchandising vincente che non sia passato attraverso la visione scrupolosa di un graphic designer. Le tecniche sono diverse, tutte legate a quell’esigenza di produrre più esemplari di una stessa immagine – esigenza che nel XV secolo la classe borghese legata al commercio vide concretizzarsi con le prime forme di stampa.
Addentriamoci allora nell’universo del graphic design con una testimonial d’eccezione. La nostra lente di ingrandimento sarà Valentina Pirritano: designer, romana, fondatrice di Kyakodesign – studio di comunicazione visiva e illustrazione.

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Valentina Kyako Pirritano                                           Ph. Mauro Mennuni

   Valentina, da quando i contenuti son diventati fruibili da chiunque abbia facile accesso alle tecnologie, l’estetica ha preso il sopravvento ed ha iniziato a fare la differenza, nel mondo commerciale e non, segnando con forza il nostro tempo. In quest’ottica, puoi spiegarci bene cosa si intenda per graphic design e quanto permei le nostre vite, senza che ce ne rendiamo conto del tutto?

   Ciao Nicoletta! Dunque, DESIGN significa progetto e, come per il design industriale, ovvero la progettazione di tutto ciò che può essere riprodotto in serie con tecniche industriali, così per il design grafico il focus deve mirare al concetto che genera l’opera finale. Il graphic design è la realizzazione di un unicum che unisce immagini, parole e idee per trasmettere informazioni ad un pubblico specifico, con l’obiettivo di suscitare una specifica reazione o interesse. Va dalla progettazione di un logo alla creazione di una intera immagine coordinata, ma può essere advertising, motion graphic e video clip… tutto ciò che riguarda la comunicazione non verbale. Anche un testo scritto è grafica, se lo vediamo nell’ottica della formattazione, della scelta del font e dei colori, della dimensione e formato di stampa.

Il progetto grafico nasce da una serie di ragionamenti sulle esigenze del cliente, su quelle dell’utente (non preferisco la parola target, non siamo mica al poligono di tiro!) e sull’efficacia del risultato. Nella gestione di un progetto, la parte di concettualizzazione e ricerca è quella principale anche a livello di tempo investito. Se si è riusciti a capire davvero cosa, come e perché fare una determinata operazione visiva, il risultato è quasi certamente di rilievo. Certo, la perizia e l’abilità tecnica poi fanno il resto, non si può prescinderne.

In Italia la cultura grafica non è ancora diffusa e molti pensano che curare un progetto dal punto di vista grafico significhi mettere  fiorellini sullo sfondo o ingrandire il logo per farlo vedere meglio. Questo porta principalmente ad una svalutazione della nostra figura professionale che è vista più come un esecutore materiale delle idee del cliente, senza valutare l’opinione del professionista. Un po’ come un malato che va dal medico e pretende di farsi prescrivere la cura che preferisce, anche se errata o dannosa. Inoltre questo porta all’idea di poter rivolgersi a chiunque sappia accendere un computer ed ottenere così lavori di scarsa qualità, col risultato di una città ricoperta di orrende immagini.  L’altro giorno mentre camminavo per strada, ad esempio, ho visto la pubblicità di un ristorante, in cui sopra alla foto degli interni, campeggiava una bistecca, attaccata sopra come fosse una gigantesca figurina. Ogni volta che qualcuno stampa una cosa del genere, un grafico da qualche parte muore, come le fatine di Peter Pan.

Website Mikadi2015

Kyakodesign

   Designer romana, hai dato vita a  Kyakodesign al culmine di un percorso formativo che non ha lasciato nulla al caso. Se è vero quanto credo, che sia il background culturale a dare credibilità e prestigio ad un designer, ci racconti quali sono le tappe fondamentali del percorso di preparazione che ti ha portato fin qui?

   Credo che quello che mi ha “costretto” ad essere una graphic designer e illustratrice sia la mia innata e fortissima passione per le immagini. Fin da piccola la cosa che ho amato di più era disegnare, creare qualcosa di visivo che fosse BELLO. È chiaro che il concetto di bello cambia con la maturazione dell’individuo e della società. Per me le tappe fondamentali della crescita di un graphic designer riguardano il comprendere ed allargare l’accezione di questa parola: comprendere ad esempio che semplicità, rigore formale, precisione, cura e idea rendono “bellissima” la comunicazione visiva o accorgendoti che la semplice scelta della cartella colore fa davvero la differenza. Bisogna guardare molto, studiare molto, riflettere molto, indipendente dal percorso di studi che si sceglie. Bisogna diventare bravi nelle tecniche e non accontentarsi mai, continuare ad evolvere e a migliorare, a creare la propria identità di “creativo” (non amo particolarmente anche questa parola, fa pensare a qualcuno che si sveglia una mattina e “crea” dal nulla. Niente di più sbagliato, è un percorso duro e lungo, come quello del compositore o del coreografo, nessuna idea arriva da sola, la devi “stanare”, passatemi il termine).

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Kyakodeisgn

Sono molto affezionata all’immagine che hai voluto dare a Radio Monticiana: un’illustrazione elaborata che coglie perfettamente lo spirito della rubrica musicale del blog. Quali sono le caratteristiche che ti identificano, rendendo unici e riconoscibili i lavori firmati Kyakodesign? Quali sono le tue fonti di ispirazione?

   Per me la cosa più importante è cercare di fare qualcosa che solo io posso fare. Mettere tutte le mie esperienze, emozioni e opinioni nel progetto. Voglio che chi mi contatta per aiutarlo nel proprio progetto, chiami me perché vuole il mio stile, il mio tocco, non per realizzare qualcosa che può fare chiunque, qualcosa di neutro.

Si rischia certo di non piacere, di non incontrare i gusti di tutti, ma è l’unico modo di rendere autentico e vero questo lavoro.

Quello che mi piace infondere in ogni progetto è uno stile pulito, ma non noioso. Spesso molti si nascondono dietro il minimal per dissimulare mancanza di idee o incapacità tecnica “un bel quadrato rosso su fondo bianco e passa la paura”, finta eleganza a nascondere negligenza. La vera sfida sta nel realizzare immagini esplosive, fantasiose, colorate e complesse che rimangano piacevoli e raffinate, lontane dal pacchiano e dal dilettantismo. Questo mi piace fare: arrivare al limite, incrociare linguaggi, sovrapporre stili, dare un tocco allegro e non scontato ai miei progetti. Per questo voglio fondere sempre di più i due campi dell’illustrazione e del graphic design, per non rimanere confinata nella griglia di impaginazione o nel fotoritocco.

Le mie fonti di ispirazione sono molto composite, In primis l’estetica giapponese: il nome kyako deriva proprio da questa passione per il multiforme repertorio visuale del sollevante, è uno pseudonimo che mi porto dietro dal liceo, dalla prima e-mail che ho creato. Mi piace moltissimo la potenza visiva dell’arte giapponese, dal manga\anime alle operazioni superminimal; s può spaziare nell’universo estetico giapponese dal vuoto come presenza tangibile al superpop, senza soluzione di continuità.

Inoltre i più grandi influencer nella mia crescita sono artisti del calibro di Kandisnky, Klee, Touluse-Lautrec, Ive Klein, Yayoi Kusama, Rotcko, Malevich, per citarne solo alcuni. Liberi dal giogo della committenza, riescono per primi ad esplorare nuove strade, a creare cortocircuiti visivi. Se si studia un poco l’arte moderna (senza arrivare alla contemporeana) si rimane stupiti di quanto le immagini commerciali di oggi parlino i linguaggi costruiti da movimenti come il dadaismo o la pop art. Artisti poliedrici come Man Ray, Mohly-Nagi e anche fotografi come Cartier-Bresson, hanno scritto la grammatica con la quale noi graphic designer ci esprimiamo ora.

   Parlare con te del tuo lavoro e di arte è sempre intrigante, vuoi raccontare a noi che siamo fuori dalla nicchia, come si sta evolvendo la moda del graphic design?

È molto difficile dare una definizione allo stato attuale dell’evoluzione della grafica. Sicuramente c’è stato un forte ritorno al flat design, alle forme pure e tinte piatte, dopo anni di sfumature, ombre ed effetti 3d. Inoltre l’infografica e l’influenza del web hanno introdotto una sempre maggiore attenzione alla distribuzione delle informazioni ed alla loro leggibilità e gerarchia. Ma non creando paletti o irrigidendo gli impaginati, anzi aggiungendo movimento e vivacità: sul web si può lavorare interattivamente e questo apre ad una serie di possibilità nuove ed eccitanti per un grafico, questo approccio fluido e potente per fortuna ha fertilizzato anche il campo editoriale.

Mi sento di avallare in pieno questi trend che presuppongono una forte sintesi compositiva, una coesione ed una componente concettuale molto forte. L’euforia creata dalle possibilità offerte da Photoshop si è placata, lasciando spazio all’idea e togliendone al “crafting” estremo.

Si ritorna oggi anche ad integrare l’analogico al digitale ed a fare uno schizzo a mano, prima di “smanettare” con Photoshop. Non serve una immagine laccata e super effettata per avere una comunicazione forte, basta vedere le opere di Bansky: arrivano potenti, semplici, pregne di significato ed afferrate da tutti al primo sguardo e per realizzarle bastano uno spray ed uno stencil! È chiaro però che chi riesce a fare questo, o è un genio nato e ce ne sono, oppure è qualcuno che sa perfettamente quello che sta facendo e che sceglie di operare così, non vi è costretto da mancanze di abilità tecnica. Un po’ come i movimenti fauve e naif o Picasso, non è che non sapevano dipingere un quadro realistico, è che avevano capito che non ce n’era più bisogno e che potevano andare oltre, come Fontana, quando taglia la tela del quadro.

   Arrivando al trait d’union di Italiani in Italia, progetto che tramite interviste vuole raccontare di chi resta in Italia, resistendo alla tentazione di trasferirsi altrove per cercare miglior fortuna, a discapito delle proprie origini, ti chiedo, Valentina, da romana che, salvo qualche esperienza all’estero, si è formata e si sta affermando a Roma, sai darci un’idea di cosa offra l’Italia oggi da un punto di vista formativo prima, lavorativo poi, a chi volesse intraprendere questa strada e restare?

   L’Italia ha una enorme e profonda cultura progettuale, consiglio a tutti di fare almeno la prima parte degli studi in Italia, tra le università statali consiglio sicuramente l’ISIA, l’università in cui io ho studiato e lavorato come docente. Avendo poi seguito per 3 anni tra le altre cose, i progetti Erasmus, posso dire con cognizione di causa, che il livello di preparazione delle università italiane è tutt’ora altissimo. È importante però anche guardarsi in giro e andare a vedere cosa fanno negli altri paesi, quindi se non si può fare un master all’estero, almeno l’Erasmus è imprescindibile. Unire la forte impronta concettuale italiana con le energie e le influenze di paesi come la Spagna (Barcellona offre moltissimo a chi lavora con le immagini) o la Germania (Berlino è un terreno fertilissimo di nuove idee ed esplorazioni) è fondamentale. Consiglio anche di alternare periodi di studio a periodi di lavoro. Ad esempio, appena usciti dalla triennale fare un esperienza di stage e poi tornare a studiare con un master… Oppure affiancare la professione all’insegnamento ed alla frequentazione degli istituti universitari, per essere in qualche modo “costretti” a non fermarsi, a studiare ed approfondire, a migliorare ed evolvere, perché il mondo della comunicazione è in constante evoluzione, anzi direi in costante rivoluzione! …

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Kyakodesign

Tengo a sottolineare però che lo spirito con cui si affronta questo lavoro è la cosa fondamentale: bisogna metterci passione, cuore, testa e idee e non risparmiarsi mai. Non si fa il designer se si vuole “timbrare il cartellino”. Devi essere bravo, ma bravo davvero perché qualcuno alzi il telefono e ti chiami, e se lo sei, succede, anche in Italia.

Last but not least: il lavoro non cade dagli alberi! consiglio di girare, uscire, incontrare, proporsi, scambiare idee e conoscere persone, anche se non c’è un riscontro immediato… What goes around comes around!

   Valentina, non posso che ringraziarti di cuore per esserti messa a disposizione del progetto “Italiani in Italia”. La realizzazione della nostra intervista, oltre ad avermi divertito molto, ha permesso me e chi avrà potuto dedicarsi a questa lettura, di fare un viaggio fantastico attraverso meandri non comuni del mondo dell’arte, grafica e non. In bocca al lupo per tutto e a presto!

Grazie a te Nicoletta per la splendida opportunità che mi hai dato di parlare del mio lavoro. Devo ammettere che non mi ero mai resa conto di amarlo così tanto.
Diceva il saggio Confucio:  “scegli un lavoro che ami, e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua.” 
Un saluto a tutti i lettori di questo splendido blog e della rubrica ‘italiani in Italia’, che trovo davvero geniale.
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